Un importante passo avanti in materia di definizioni è stato compiuto da De Luca (2000), che ha proposto una definizione molto più adatta a rappresentare la complessità di un fenomeno come l’omicidio seriale: chi è il serial killer?
“L’assassino seriale è un soggetto che mette in atto personalmente due o più azioni omicidiarie separate tra loro oppure esercita un qualche tipo di influenza psicologica affinché altre persone commettano azioni omicidiarie al suo posto. Per parlare di assassino seriale è necessario che il soggetto mostri una chiara volontà di uccidere, anche se poi gli omicidi non si compiono e le vittime sopravvivono: l’elemento centrale è la ripetitività dell’azione omicidiaria. L’intervallo che separa le azioni omicidiarie può andare da qualche ora a interi anni e le vittime coinvolte in ogni singolo episodio possono essere più di una. L’assassino seriale agisce preferibilmente da solo, ma può agire anche in coppia o come membro di un gruppo. Le motivazioni sono varie, ma c’è sempre una componente psicologica interna al soggetto che lo spinge al comportamento omicidiario ripetitivo. In alcuni casi, vanno considerati assassini seriali anche i soggetti che uccidono nell’ambito della criminalità organizzata, i terroristi e i soldati” (De Luca, 2000, pp 12).
I vantaggi di questa definizione sono numerosi: l’introduzione di un nuovo tipo di assassino seriale, per esempio, quello per induzione, colui che uccide sotto l’influenza di un individuo a cui è sottomesso psicologicamente; la specificazione che l’assassino seriale può agire anche in coppia o in gruppo (e tanti sono gli esempi); l’inclusione nella categoria anche dei killer su commissione o dei soldati che in alcuni casi non uccidono solo per “dovere” o per il potere, ma anche spinti da un bisogno psicologico personale. Inoltre, la definizione di De Luca considera serial killer chiunque abbia l’intenzione omicidiaria di uccidere due o più persone e non solo chi riesce affettivamente a realizzare gli omicidi. Infine, un assassino seriale, per l’autore, è anche colui che commette un omicidio ogni ora, o comunque a distanza di tempo molto ravvicinata, la sua unica particolarità è che le fasi del delitto si concludono in maniera piuttosto rapida.
Questa definizione, quindi, prende in considerazione le fasi dell’omicidio seriale analizzate da Norris nel 1988:
- La fase aurorale, in cui il soggetto esperisce una serie di fenomeni di tipo sensoriale, per i quali inizia ad avvertire un rallentamento del trascorrere del tempo, i suoni e i colori diventano più vividi, gli odori più intensi, la pelle più sensibile. Avverte un senso di estraniazione dalla realtà e si perde in una florida attività immaginativa, consistente innanzitutto nella fantasia di avere un compagno che entra a far parte del suo progetto di morte. Questa fase può durare pochi minuti o anche mesi, durante i quali il soggetto si eccita con fantasie di morte;
- La fase del puntamento, in cui l’assassino, in una compulsione irrefrenabile, inizia la ricerca attiva della vittima scegliendo alcuni luoghi preferenziali in cui appostarsi ed attendere, come un animale in attesa della preda. Dopo aver individuato la vittima, ne studia gli spostamenti. Sulla base della loro scelta, esistono gli assassini seriali territoriali che scelgono un luogo elettivo (un parco, un quartiere, una città) nel quale commettere gli omicidi; gli assassini seriali stazionari che uccidono nella propria abitazione o nel posto di lavoro (come ospedali o case di riposo); e gli assassini seriali itineranti che si spostano dopo ogni omicidio da un posto all’altro, distante anche molti chilometri, senza seguire un itinerario logico, allo scopo di non lasciare punti di riferimento per gli investigatori;
- La fase della seduzione, in cui l’omicida avvicina la vittima senza destare sospetti, con un modo di fare seduttivo o, comunque, garbato, senza terrorizzarla, ma conquistandosene la fiducia;
- La fase della cattura, in cui l’assassino cattura la vittima. Si può trattare di un evento improvviso o graduale, la cattura può avvenire in un luogo isolato, dove il serial killer può tranquillamente esercitare il proprio dominio sulla preda, provando per questo un enorme piacere, ed avendo tutto il tempo per preparare il rituale di morte che seguirà, senza speranze di fuga per la vittima. Le tecniche di cattura individuate sono principalmente tre e ripetono le modalità utilizzate dagli animali con le loro prede: tecnica dello squalo, per la quale l’assassino si muove in vari posti con un mezzo motorizzato finché non trova la vittima ideale, che cattura rapidamente ed uccide nello stesso posto o in un luogo isolato, ma mai nella sua casa; tecnica dell’aquila, per la quale l’assassino si sposta fino a quando non trova la vittima giusta, la porta a casa sua dove ha già predisposto la scenografia di morte, la sottopone a torture varie, anche per tempi lunghi, godendo sadicamente del fatto di poter fare ciò che vuole e infine la uccide; la tecnica del ragno, per la quale l’assassino, con un espediente, attira la vittima a casa sua e la uccide rapidamente;
- La fase dell’omicidio, in cui l’assassino uccide finalmente la sua vittima, provando il massimo grado di eccitazione possibile nel momento stesso in cui la vittima muore tra le sue mani. Viene esperita una sensazione di trionfo, di rivalsa nei confronti delle sofferenze e delle paure passate che vengono cancellate da quel momento di trionfo assoluto. Alcuni serial killer provano l’orgasmo proprio nell’attimo in cui danno la morte;
- La fase totemica in cui l’eccitazione provata durante l’omicidio va gradualmente scomparendo. Allora, il serial killer, per mantenere il ricordo delle sensazioni provate e per prolungare il trionfo, conserva il corpo della vittima o parti di esso, oppure sottrae degli oggetti della vittima (feticcio). Alcuni fotografano la vittima, da viva o da morta;
- La fase depressiva, in cui l’assassino capisce che l’emozione fugace di trionfo provata durante l’omicidio non ha cancellato il passato e che il potere che ha esperito è illusorio, transitorio e ha lasciato il posto alla sua squallida realtà quotidiana. Entra, quindi, in depressione ed è in questa fase che può confessare il suo crimine. Altrimenti, prima o poi, le fantasie riprendono il sopravvento ed il bisogno impellente di uccidere lo spinge ancora alla ricerca di una nuova vittima: il circolo vizioso ricomincia.
Ma le definizioni date negli ultimi anni sono veramente molteplici: Hickey (1991), per esempio, definisce i serial killer in base alla loro mobilità e li distingue in:
- assassino seriale locale che elegge come proprio terreno di caccia un’area ben determinata e che, raramente o mai, sconfina dalla zona che conosce bene;
- assassino seriale itinerante che si sposta continuamente da un posto all’altro in cerca della vittima ideale;
- assassino seriale stazionario che commette gli omicidi prevalentemente a casa propria o nel suo luogo di lavoro, indossando una “maschera di normalità”. Questo tipo di omicidio, solitamente, si protrae per molti anni, senza destare il minimo sospetto nella comunità di appartenenza.
Altri autori, invece, come Holmes e De Burger (1988) hanno definito gli elementi caratteristici dell’omicidio seriale nel seguente modo:
- l’elemento centrale è la ripetizione dell’omicidio: l’assassino seriale continua ad uccidere fino a quando non viene fermato. Il periodo in cui avvengono gli omicidi può estendersi per mesi o anni;
- l’omicidio seriale avviene solitamente “uno contro uno”, tranne rare eccezioni;
- di solito, tra l’assassino e la sua vittima non c’è alcun tipo di relazione oppure, se c’è, è superficiale;
- l’assassino seriale prova l’impulso di uccidere. Gli omicidi seriali, infatti, non sono crimini di passione né originati da una provocazione della vittima;
- negli omicidi seriali mancano motivi evidenti.
Infine, Wilson e Seaman (2007), riprendendo gli studi dello psicologo Albert Maslow, definiscono la “teoria dei bisogni progressivi”. Essi sostengono che le persone, anticamente, uccidevano spinte dalla povertà e dalla fame; verso la metà dell’Ottocento, uccidevano, invece, per tutelare la propria sicurezza domestica. Una volta soddisfatti questi primi bisogni essenziali, l’uomo inizia a sentire il bisogno di gratificazione emozionale e sessuale e uccide per questo motivo. E’ il Novecento il secolo che vede la nascita dell’omicidio a sfondo sessuale. Ma, secondo i due autori contemporanei, ciò che motiva il serial killer oggi è un altro tipo di bisogno: quello di autostima, provocato da una grande insicurezza, che caratterizza quasi sempre l’infanzia dell’assassino seriale e dalla mancanza di un’identità precisa. Il soggetto che uccide compirebbe, quindi, i propri omicidi per farsi rispettare, nella speranza di riuscire ad affermare il proprio sé attraverso un gesto tanto estremo quanto prepotente.
Ciò che emerge da questa breve rassegna delle principali definizioni di serial killer è che, negli ultimi anni, si nota una tendenza da parte degli studiosi di questo fenomeno a cercare di analizzare l’omicidio seriale seguendo nuove strade che permettano di fornire una migliore comprensione della personalità degli assassini seriali.
Negli anni ’80 e ’90, infatti, come abbiamo visto, la preoccupazione maggiore era quella di trovare delle categorie in cui definire e classificare un comportamento che, pur essendo sempre esistito, non era mai stato riconosciuto e studiato in maniera approfondita. Allo stato attuale, ci si è accorti, invece, che non basta stabilire se un serial killer è organizzato o disorganizzato, ma bisogna considerare altre variabili, proprio perché si tratta di un comportamento complesso, in cui entrano in gioco una moltitudine di fattori.
Fonte: Trisciuoglio, B. Il Serial Killer: Profilo Psicologico, Classificazione e Tecniche Investigative. Tesina presentata per il Corso di Formazione in Psicologia Giuridica, Psicopatologia e Psicodiagnostica Forense presso l’Associazione Italiana di Psicologia Giuridica, 2010.
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