Come si diventa serial kille? Partendo da studi compiuti già nei primi anni del Novecento, che dividevano le varianti della necrofilia in furto di cadaveri, necrofagia e mania omicida (in cui è l’atto di uccidere in sé, piuttosto che l’aspettativa di possedere un cadavere, a provocare l’eccitazione), alcuni autori italiani come Bruno (1995) e De Pasquali (2004) sono giunti alla conclusione che esiste una forma particolare di necrofilia, assai frequente nei serial killer, che hanno denominato “necromania”. Il termine “necro”, dal greco, significa morto. Il suffisso “mania” sta ad indicare un interesse morboso per certe specifiche idee, azioni od oggetti, associato ad un bisogno compulsivo (impulso irresistibile) di comportarsi in un certo modo deviante. Il serial killer è affetto da necromania in quanto ha un interesse morboso per la morte (idea) ed il cadavere (oggetto) ed ha una compulsione (azione) ad uccidere.
Nel necromane, quindi, è presente un sovvertimento dell’istinto basilare dell’uomo, l’istinto della vita, che porta l’individuo normale a rifuggire la morte, a respingerla; egli, invece, uccide per avvicinarsi alla morte, per incarnarla attraverso il rapporto con il cadavere.
“La necromania consiste nella ricerca del rapporto diretto con la morte, ottenuto mediante l’uccisione ed il successivo contatto con il cadavere. Nel necromane, l’elemento produttivo del piacere consiste nel rendere morto il corpo di un’altra persona allo scopo di poter disporre del suo cadavere. Il godimento avviene quindi in due fasi. La prima consiste nell’uccidere: dare la morte, e spesso, le modalità con cui si dà la morte, provocano il piacere iniziale nel necromane; nella seconda fase questo piacere si perpetua col cadavere. Non sempre si attuano rapporti di tipo sessuale, ma anche altri contatti fisici ottenuti mediante varie forme di manipolazione del corpo: scoprire o coprire il corpo, squartarlo, immergervi le mani dentro, manipolare gli organi interni, decapitarlo, depezzarlo, conservare, collezionare, cibarsi di alcune parti, rimirare il corpo, fotografarlo, esaminare i genitali, giacere accanto al corpo, scrivervi sopra, seppellirlo e disseppellirlo, nasconderlo, bruciarlo, farlo bollire. Si tratta di molteplici azioni, alcune anche finalizzate ad eliminare il corpo del reato, che implicano comunque il contatto prolungato con esso, il piacere perverso di avere a che fare, e quindi in qualche modo,di dominare la morte” (De Pasquali, 2004, pp 107-108).
Ma c’è un altro aspetto al quale dobbiamo fare riferimento: il serial killer uccide in maniera seriale perché “malato” di necromania e, quindi, impossibilitato a fermarsi. Infatti, il particolare comportamento di uccidere in modo compulsivo non è contrastabile da parte della volontà del serial killer. Ne discende, quindi, che il serial killer non può interrompere il ciclo omicidiario: smette di uccidere solo se interviene un fattore esterno, se muore o se viene arrestato, anche per altri comportamenti illegali, che niente hanno a che fare con l’omicidio.
Molti serial killer soffrono di una perversione sessuale inscrivibile nella necromania: essi uccidono senza danneggiare il cadavere, con il quale vivono una sorta di relazione amorosa, tenendolo per giorni nel letto con loro, lavandolo, accarezzandolo e masturbandosi in sua presenza. Quindi, sezionano il cadavere, lo scompongono come un bambino smonta una bambola, manipolano gli organi interni, provando un gran piacere sessuale. Talvolta i necromani si cibano di parti del cadavere e, in questo modo, introiettano simbolicamente l’oggetto amato (o temuto) per tenerlo sotto controllo (o dominarlo definitivamente). Il serial killer necromane è un soggetto fortemente disturbato, fin da bambino chiuso in se stesso, asociale, freddo, perso nel suo fervido mondo immaginativo. Non ha relazioni sociali significative, vive solo o con i genitori. Il suo sviluppo psicosessuale è rimasto fissato ad una fase pregenitale: prova una terribile angoscia alla sola idea di praticare sesso con una persona vivente; quindi, il piacere sessuale è inibito dalla paura dell’oggetto. Da qui, la necessità di rapportarsi con il cadavere. Il necromane inizia, spesso, il suo contatto con la morte rapportandosi ad animali morti, solo in seguito inizia ad interessarsi ai cadaveri, dimostrando così, la sua totale incapacità a stare nel mondo dei vivi. Ma qual è la differenza con il necrofilo?
Questi è interessato al cadavere, ma di rado arriva ad uccidere per procurarselo, avendone a disposizione in natura una notevole quantità. L’oggetto del piacere prescelto, quindi, è già privo di vita. Nel necromane, invece, l’attrazione per la morte va oltre il semplice piacere erotico: uccidere e disporre del cadavere rafforza il senso di potere, in quanto l’omicida avverte una completa realizzazione e soddisfazione personale, mentre il piacere sessuale, spesso, è solo accessorio. A differenza dell’omicidio per libidine, quindi, il piacere proviene dall’omicidio e, a volte termina con rapporti sessuali con il corpo morto. Nell’omicidio per libidine, invece, il piacere proviene dai rapporti sessuali con il corpo vivo cui segue l’omicidio che è lo scopo ultimo: alla morte della vittima, il piacere cessa immediatamente.
L’unico elemento costante tra i serial killer che uccidono per necromania e quelli che uccidono per libidine è, per Francesco Bruno (1995), la mostruosità, una categoria non ascrivibile nelle patologie riconosciute nel DSM IV, ma che potrebbe spiegare perché il serial killer uccide.
“La categoria della mostruosità in sostanza fa in modo che i serial killer possano essere considerati non propriamente portatori delle classiche patologie di mente che conosciamo appieno, ma evidentemente vittime e protagonisti di qualcosa di diverso. Essi non agiscono per spinte apparentemente genetiche, ma neppure per motivazioni ben chiare quali possono essere il denaro, la passione, la vendetta, la gelosia e cos’altro. Non sono, quindi, né matti né delinquenti, in loro agiscono spinte compulsive a commettere atti brutali, un modo per concretizzare sui cadavere la necessità di instaurare relazioni di totale controllo sulle persone” (Bruno, 1995, pp 77).
Ma come si diventa un serial killer? Escludendo quei soggetti con una malattia psichiatrica che inficia il contatto con la realtà causando allucinazioni e deliri di varia natura, possiamo affermare che non esiste una causa unica che trasforma un individuo in assassino seriale, ma una serie di fattori di tipo biologico, psicologico e socio-ambientale che facilitano l’insorgenza di questo comportamento e che hanno una diversa rilevanza a seconda del soggetto in questione. Secondo De Luca (2000), il comportamento omicidiario seriale è il prodotto della combinazione circolare tra tre fattori che si intrecciano tra loro, con importanza variabile da individuo ad individuo: il fattore socio-ambientale, il fattore individuale e quello relazionale.
Per il fattore socio-ambientale, vengono presi in considerazione diversi aspetti: l’ambiente familiare di provenienza, il livello di inserimento nel tessuto sociale, gli eventi predisponenti, facilitanti e scatenanti, le influenze sub culturali e le ricompense o le punizioni mediate dall’ambiente. Rispetto a questo primo fattore, il serial killer risulta provenire da una famiglia nella quale non è avvenuto uno sviluppo corretto dell’empatia né la formazione di una personalità equilibrata: abbandoni ripetuti, abusi fisici, sessuali e psicologici, deprivazione affettiva sono alcuni dei traumi ai quali è sottoposto il soggetto durante l’infanzia. Ma è anche un soggetto che durante l’adolescenza e in età adulta non riesce ad ottenere un buon livello di inserimento nel tessuto sociale, ha pochi amici, un lavoro saltuario o è disoccupato e ha pochi interessi culturali. Anche nei casi in cui, apparentemente, il soggetto mostra una “facciata di normalità”, in realtà si tratta di un inserimento che si ferma al livello superficiale e non coinvolge il nucleo centrale della personalità. In alcuni casi, l’assassino seriale agisce in un contesto in cui già c’è una forte adesione al crimine, i suoi genitori o lui stesso già hanno compiuto atti criminali o conosciuto la prigione. Ovviamente, diventa indispensabile capire come la società ha agito di fronte ai primi atti criminali del serial killer: una punizione tempestiva, connotata da una funzione educativa, può servire a rallentare o bloccare l’evoluzione del comportamento omicidiario seriale. Infine, occorre sempre ricordare che in ogni storia di vita dei serial killer, ci sono sempre degli eventi predisponenti, facilitanti e scatenanti altamente soggettivi che possono verificarsi in qualsiasi momento, innescando il meccanismo di reazione omicidiaria a catena (in alcuni casi si tratta di lutti improvvisi, abbandono da parte di un oggetto investito di molte aspettative, presenza di una vittima facilmente avvicinabile, ecc).
Per quanto riguarda il fattore individuale, invece, questo include tutte le componenti soggettive della personalità dell’assassino seriale: tratti psicologici e psicopatologici (che abbiamo già visto), sessualità (dipende dalla qualità e dalla quantità degli impulsi sessuali che si sviluppano durante il periodo evolutivo), la vita immaginativa (per tutti gli assassini seriali, è molto ricca e articolata: le fantasie, in genere, si orientano sul dominio, il controllo e la distruzione di persone che vengono immaginate come “oggetti” a completa disposizione per la propria gratificazione personale, come abbiamo visto), i bisogni soggettivi o le motivazioni e la capacità di elaborazione dei traumi. Si tratta di sottofattori individuali, tipici di tutti gli individui, ma che sono presenti in quantità e qualità diverse all’interno dei serial killer. Ecco perché alcune persone diventano serial killer ed altri no, pur avendo vissuto le medesime esperienze di vita traumatiche.
Infine il fattore relazionale, che rappresenta il punto di incontro tra i primi due ed esprime il grado di scambio esistente tra l’individuo e la famiglia d’origine, l’individuo e i partner sessuali e l’individuo e la società. Ma, ancora, diventano fondamentali la comunicazione dell’individuo con se stesso (gli assassini seriali hanno difficoltà ad instaurare e mantenere relazioni autenticamente empatiche con il prossimo e preferiscono vivere in una dimensione di solitudine, accompagnati solo dalle loro fantasie) e le modalità di apprendimento della violenza (il serial killer impara ad usare la violenza per soddisfare i suoi bisogni e le modalità di apprendimento sono sempre una questione di interazione con uno o più modelli negativi assunti come punti di riferimento).
Fonte: Trisciuoglio, B. Il Serial Killer: Profilo Psicologico, Classificazione e Tecniche Investigative. Tesina presentata per il Corso di Formazione in Psicologia Giuridica, Psicopatologia e Psicodiagnostica Forense presso l’Associazione Italiana di Psicologia Giuridica, 2010.
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